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Messaggio Da Levnicolaievic Ven Gen 06, 2012 11:16 am

Non sapevo dove postare questo interessante articolo che può essere utile alla riflessione sul contesto musicale contemporaneo: così creo questo spazio utile anche per altre notizie e riflessioni. Se ci fosse già uno spazio altrove, sorry e spostatelo pure...

"Questa volta è finita davvero"(da Repubblica , 6 gennaio 2012)
Nel 2011 le top ten musicali sono state dominate dal pop. E il movimento degli indignati è rimasto senza una canzone simbolo. Così la musica è cambiata di GINO CASTALDO

MA ALLORA è proprio finita? I giovani trovano luoghi e ragioni per nuove proteste, che si chiamino Indignados o Occupy Wall Street, ma curiosamente, forse per la prima volta nella storia moderna, non esiste una colonna sonora che racconti di queste nuove esperienze. Il rock? Latita, è assente, così come sta praticamente scomparendo dalle classifiche, lasciando il posto a un dominio pressoché assoluto del pop commerciale.

Basta dare un'occhiata alla top 100 di Billboard Usa: Adele, Drake, i Lmfao, Rihanna, Katy Perry e via così tra pop e rap, anche questo del resto da alcuni anni in piena e irrefrenabile regressione commerciale. Prima di trovare qualcosa che assomigli al rock bisogna scendere molto più in basso. C'è il rock d'autore di Florence and the Machine, qualche sussulto firmato Black Keys, ma in generale prevale l'imperativo della dance.

Lo stesso in Inghilterra, dove per contro manca lo strapotere del rap: Michael Bublè, Bruno Mars, Adele, Rihanna. Certo, ci sono i Coldplay che tengono bene la posizione e per molti versi si trovano a difendere in prima linea la bandiera del rock, ma non a caso la loro musica è fortemente venata di pop e tutto sommato risulta più organica rispetto alla tendenza generale.

Stessa cosa vale per i Grammy, il massimo riconoscimento musicale americano. Tra le candidature del prossimo evento di febbraio spiccano di nuovo Adele, Rihanna, Lady Gaga, a testimonianza che tra l'altro se di novità possiamo parlare, sancita definitivamente nel corso del 2011, è l'assoluto predominio delle voci femminili. Comunque vada un profluvio pop che, ci si può scommettere, dominerà le maggiori categorie, tranne che in quelle rock ovviamente, le uniche dove il successo è ancora garantito. Ma per quanto?

I margini sembrano ridotti, come se il rock stesse diventando una riserva, da proteggere e magari conservare con cura, come un retaggio del passato. Ogni tanto arriva un acuto un segno forte (Springsteen, Radiohead, Arcade Fire tanto per fare esempi), ma i nomi in grado di contrastare la marea montante del disimpegno musicale sono sempre meno e più isolati. Sembrerebbero circostanze molto distanti tra di loro, la protesta e le classifiche, e invece sono strettamente connesse.

Parlano entrambi di un vuoto, del fatto che il popolo giovanile, incoraggiato da un sistema mediatico votato al consumismo più sfrenato, sembra tornato a un'era pre-rock in cui la musica era soprattutto intrattenimento, magari licenzioso, qualche volta trasgressivo, ma pur sempre solo e soprattutto divertimento. Di nuovi gruppi rock ce ne sono, a centinaia, ma preferiscono un profilo più basso e aristocratico, nessuno di loro sembra volersi fare carico di essere portavoce di alcunché, tantomeno di esprimere nelle canzoni un grande respiro generazionale.

Ci sono band da culto come i Fleet Foxes o i Mumford and sons, che hanno un notevole seguito, e qualche volta riescono a inserirsi nel grande circuito, e lo stesso vale per nuovi cantautori rock come Bon Iver, molto amati, ma anche il loro successo conferma un trend fortemente conservativo. Anche loro non fanno che ripetere stili e modalità del vecchio rock, appena rinfrescate ad uso e consumo delle nuove generazioni.

Rimane il fatto che, se dovessimo trovare oggi un pezzo rock capace di interpretare il presente faremmo una gran fatica. Anche le band storiche tipo U2, non sembrano più molto intenzionate a cavalcare la ricerca dei nuovi sentimenti planetari. E ovviamente, se di vuoto si tratta, c'è spazio per ogni tipo di revival. I Sessanta, che non tramontano mai del tutto, poi Settanta, gli Ottanta, una spirale infinita e ormai più che logora, che rimbalza da un luogo all'altro dell'immaginario sonoro dei nostri tempi.

Un sintomo inequivocabile è l'eterno ciclo delle vecchie band che decidono di tornare in pista. Tutto fa brodo per salvare il salvabile, e anche il 2012 si annuncia all'insegna dei grandi ritorni. Come se il calendario si fosse inceppato nella maglie del tempo, tra i tour più attesi dell'anno nuovo ci sono in programma molti eventi di riunione, con un ampio raggio che va dai Black Sabbath ai Beach Boys.

Parlando di rock si investe molto sui concerti, che ancora funzionano, soprattutto se si parla di nomi consolidati, meglio ancora se sono vecchie glorie capaci di risvegliare anche nel pubblico giovanile il sogno, ormai tramontato, di una musica capace di far fantasticare, di parlare una lingua nuova, di risvegliare il nostro orgoglio di cittadini del mondo, alle prese con le difficoltà del mondo reale.

Mancano idee e progetti, il rock sembra incapace di rinnovarsi, e il vuoto si espande e si scioglie nella dispersione di cuffiette, download e condivisioni social. Il verbo rock, in quanto tale, non sembra più in grado di rappresentare il nuovo, cede il posto alle punte avanzate della tecno, ai lustrini fiammeggianti delle nuove iconiche dive pop. E quel poco che c'è viene puntualmente boicottato. In Italia ad esempio c'è un certo risveglio rock, ci sono gruppi forti e molto arrabbiati come il Teatro degli Orrori e i Ministri, ma fanno una gran fatica a emergere dalla trama asfissiante del mercato, con le sue rigide regole di imposizione mercantile.

E che i tempi siano cambiati lo dimostrano proprio le recenti manifestazioni di protesta. Un buon test per verificare la tenuta carismatica di un genere nato sostanzialmente come moto di rivolta. Se da una parte non sembra avere molte difese commerciali da opporre al pop che avanza, dall'altra non riesce a fornire emozioni in grado di aggregare forze collettive. Non ci sono nuovi inni, pezzi come We shall overcome o Blowin in the wind, per rimanere alle vecchie posizioni anni Sessanta, ma neanche pezzi incendiari come London calling o come gli ultimi vagiti di rabbia espressi dal grunge, in fin dei conti non ci sono brividi da condividere.

A presenziare, tra primitive e spontanee jam session di tamburi sono i soliti grandi vecchi come Patti Smith, Lou Reed. Vanno e cantano, ma ovviamente non hanno pezzi nuovi da fornire al movimento. E comunque cercano almeno di essere presenti. In Inghilterra si sono affacciati i Radiohead, ma anche loro al momento non sembrano intenzionati a "cantare" la protesta, ammesso che questo rientri nella loro più enigmatica vocazione di gruppo guida del disagio poetico.

Tom Morello dei Rage Against The Machine è andato allo Zuccotti park e si è messo a suonare per i manifestanti, lo stesso hanno fatto vecchie glorie come Crosby e Nash. Graham Nash ha introdotto Teach your children, dicendo: "Questa la conoscete, quindi aiutateci a cantarla. L'ho scritta quarant'anni fa ma ci siamo accorti di quanto sia attuale. Dobbiamo impegnarci a far crescere meglio i nostri figli".

Come dire, visto che non c'è niente di contemporaneo che possa adattarsi alla nuova situazione, tanto vale cantare le vecchie cose, che almeno sapevano il fatto loro. Ma accadono fatti curiosi. A conferma del fatto che a sostituire certe modalità di condivisione siano oggi i social network, si registra un episodio molto curioso. Il batterista dei Roots, uno dei gruppi più trendy del momento, l'afroamericano Questlove, ha partecipato a titolo personale alle proteste di Occupy Wall street, e quando si è accorto che la polizia si stava muovendo in direzione della zona occupata dai manifestanti ha avvisato i suoi numerosi followers su Twitter. Un cinguettio può salvare il mondo? Certamente più della musica, che di questi tempi sta vivendo un lungo e irritante letargo di coscienza.


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Messaggio Da puparock Ven Gen 06, 2012 1:02 pm

...molto molto molto interessante.
Io lo avrei messo in Notizie musicali!
Grazie Lev Carissima!!! :pupazzi:
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Messaggio Da Levnicolaievic Sab Gen 07, 2012 10:04 am

Pupa carissima.... lo so che hai un'anima rock e un cuore dolcissimo...  Notizie e riflessioni dalla stampa  41332  Notizie e riflessioni dalla stampa  448215 quanto alle idee di Castaldo, le conosciamo, se togli quel tanto di snobismo che viene dalla intellighenzia di sinistra, resta comunque l'esattezza della sua analisi sull'inaridirsi della vena di protesta della musica, almeno di quella che ha successo...<. credo che ci siano gruppi rock validi o comunque gruppi che mettono la protesta nei loro testi, che descrivano la realtà nelle sue pieghe meno seduttive e più dure da vivere , varrebbe la pena di cercarli e segnalarli... qui ne metto un esempio, trovato leggendo la rivista " lo straniero"...
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Messaggio Da Levnicolaievic Mer Nov 07, 2012 5:23 pm

Discorso completo di Obama, sentite con quale brano sale sul palco
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Messaggio Da Ospite Mer Nov 07, 2012 5:30 pm

Levnicolaievic ha scritto:Discorso completo di Obama, sentite con quale brano sale sul palco

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Messaggio Da Jazzbianco Lun Nov 19, 2012 10:58 am

Sicuramente non è il posto giusto, ma non volevo aprire un altro topic.

Da quando è uscito il CD trituto a Gaber, ho letto e sentito ripetere quanto sia ancora attuale il suo messaggio. Partendo da una leggera discussione su twitter con alcuni seguaci di Scanzi che concordavano con lui sulla vuota versione mengoniana di Destra Sinistra, sulla mancanza di ironia da parte dell'interprete, ho elaborato un pensiero un po' contorto e quindi chiedo a voi: ma è veramente attuale la visione di Gaber o all'ironia, che io posso apprezzare in quel brano, può subentrare, nei ventenni di oggi, una rabbia per non avere più neanche dei luoghi comuni a cui far riferimento?
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Messaggio Da jamila5 Lun Nov 19, 2012 12:51 pm

Credo che i giovani siano molto più arrabbiati e delusi ... non riescono ad essere ironici ... questo vedo guardando mio figlio ... dovendo dare un'interpretazione come cantante giovane non riuscirei a farla ironica ... infatti io noto una differenza di interpretazione ... in riferimento all'età del cantante che l'ha interpretata ...
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Messaggio Da Levnicolaievic Lun Nov 19, 2012 6:39 pm

Due considerazioni rispetto al discorso introdotto da Jazz, ma ci voglio pensare ancora:
- L'attualità della versione mengoniana di Viareggio, secondo me, non stava soltanto nell'ironia dell'arrangiamento funky, quanto piuttosto nella " manipolazione " sonora del testo che , anche se involontariamente, rendeva bene l'idea del caos comunicativo in cui siamo scagliati oggi, con le parole che si sovrapponevano, si dilatavano o si accorciavano, fino a diventare puri suoni : evidentemente in questo contesto l'ideologia è morta e sepolta.
_Nella versione del CD c'è meno ironia e direi proprio che siamo nel grottesco: è vero quello che dice jazz , in questa versione c'è più rabbia, seppur controllata.
La base dal ritmo rallentato mette in risalto la linea graffiante del canto di Marco, molto
" severo" , metallico nella dizione, nel lancio più rabbioso delle parole, come oggetti che colpiscono. E' una interpretazione anche questa, che non si sofferma più sulla babele del nostro mondo comunicativo che rende vane tutte le distinzioni , quanto piuttosto può alludere al vuoto del pensiero , il vuoto della politica , alla separazione , al baratro che separa le generazioni: forse non c'è più neanche un mondo per loro, non solo le ideologie, non c'è proprio quasi più niente. Per questo mi pare quella di marco una interpretazione in linea con la sensibilità più " arrabbiata" dei ragazzi, stanchi di esser presi per i fondelli in un mondo "di merda" ( come dice il testo ): in quanto a Gaber, credo che il suo testo sia appunto da attualizzare, e il confronto Destra-Sinistra sia reso efficacemente come opposizione speranza-disperazione
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Messaggio Da Ospite Sab Dic 08, 2012 11:20 am

Il Fatto Quotidiano

Il Talent e i suoi parenti
La finale di XFactor e il successo di uno show globale che viene dagli USA
di Stefano Ciavatti - 07 dicembre 2012

Davide, Cixi, Chiara e Ics: chi di loro vince X Factor si aggiudica il contratto discografico con Sony di 300 mila euro. Intanto a Sky Uno si godono l'audience di 745 mila spettatori a puntata. L'età media del pubblico, 36 anni, si è abbassata rispetto al passato. L'effetto più immediato è che XFactor va fortissimo sui social newtork e un palco così “con -
diviso” non può tollerare le polemiche.
La delusione di Arisa per l'esclusione dalla finale degli ultimi suoi protetti, i giovanissimi Frères Chaos, la furia contro i giudizi della collega Simona Ventura, l'accusa di irregolarità del televoto: troppo per essere soltanto una piazzata. NILS Hartmann, direttore produzioni
originali Sky, infatti è dovuto intervenire: “Arisa ha toppato, nei modi e nella sostanza.
È andata oltre le dinamiche del programma e ha passato il limite”. Nei talent show
contano molto la presenza scenica e la capacità di coinvolgere il pubblico, più di avere una bella voce. Chi l'ha detto poi che essere esclusi o arrivare secondi non significa trovare la strada
per il proprio talento?
A dimostrarlo è proprio la storia dei talent show più celebri come gli americani American
Idol (Fox, in onda dal 2002) , Xfactor (Fox, dal 2011), e The Voice (Nbc, dal 2011). Certo gli
show italiani sono imparagonabili con quelli americani per pubblico, budget e protagonisti
che arrivano dall'industria pop Usa. Per dirne una, la passata edizione Usa di XFacto r prevedeva come premio un contratto discografico da 5 milioni di dollari e aveva in giuria super produttori di musica black come L.A.Reid (Mariah Carey, Rihanna, Kanye West) e nei
duetti con gli esordienti ospitava Avril Lavigne, Justin Bieber, Stevie Wonder. Il talento se vale
trova la sua strada.
L'industria Usa infatti soccorre anche gli esclusi: la cantante Katharine McPhee, seconda ad American Idol nel 2006 ha raggiunto, un anno dopo, il podio delle classifiche americanecon il suo album d'esordio. Poi è diventata anche attrice: oggi è la protagonista di Smash, musical prodotto da Spielberg su Marilyn Monroe (in onda in Italia su La5). La cantante di Chicago Jennifer Hudson, settima nel 2005, si è presa la rivincita vincendo un Grammy nel 2009 per il miglior album R&B e cantando l'inno nazionale al Superbowl sempre nel 2009 e quest'anno l'omaggio a Whitney Houston. Non contenta ha vinto anche il Globe e l'Oscar nel 2007 come attrice non protagonista di Dreamgirls . L'anno scorso ha impersonato Winnie Mandela nel film sulla mogliedel leader sudafricano.
NON C'È soltanto spazio per la musica pop. Il cantautore Javier Colon vincendo la prima edizione di The Voice (giurati Cristina Aguilera e Celio Green) ha intascato 100mila dollari di premio e un contratto per Universal.
Anche la cantautrice Kerry Clarkson vincitrice di American Idol ha venduto 20 milioni di copie
(con due Grammy) e festeggia dieci anni di carriera. Talentshow però non vuol dire solo
gara canora, ascolti e lancio di giovani promesse. La macchina industriale ha trovato anche il
modo di ridare fiducia alla musica, messa a rischio dai download illegali e così ha creato
anche indotto. La serie tv Glee, la comedy musicale che ha debuttato in Usa e in Italia su Fox
nel 2009 (è alla quarta stagione), è diventata un musical dal vivo con concerti in tutto il mondo.
La storia del professor Will che prova a ridare linfa al gruppo di ragazzi sfigati ma tenaci del
Glee-Club nell'immaginaria William McKinley High School è in pratica un talent show sotto
forma di serie tv. I numeri del business sono impressionanti: sono stati scaricati legalmente
43 milioni di brani cantanti dai ragazzi di Glee, a cui aggiungere oltre 12 milioni di copie tra i vari album. Fin qui le luci. E le ombre? Riguardano sempre la qualità dei concorrenti, quell'equilibrio precario tra umanità, ambizioni e disciplina. Le ha spiegatebene Aldo Busi in Dritte per
l'aspirante artista televisivo (Mondadori, 2006), frutto della partecipazione all'accademia
adolescenziale di Amici. Non sono semplici consigli artistici sull'ispirazione ma lezioni di
economia del talento, fatte da uno scrittore autodidatta.
Tra i tanti consigli di Busi – in -dipendenza, autocontrollo, eticadel lavoro – c'è anche quello
esplicito a desistere: “se non avete i mezzi per andare avanti fate un altro lavoro. Sono contrario al fatto che vi creiate delle illusioni. L’arte è fatica. Sublime, ma sempre fatica”. Non bastano dunque le buone intenzioni. Bisogna essere chiari, anchenel linguaggio: “L’artista
non può andare all’ingrosso in niente”. Un richiamo che sarebbe stato utile per Arisa e Frères
Chaos. Il melodramma non si addice al talent show, in Americaè molto forte il peso del
pubblico più che dei giudici, nonostante siano spesso delle celebrity mondiali. In ballo c'è solo il talento non le polemiche, l'epoca del reality è finita.

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Messaggio Da Levnicolaievic Lun Apr 01, 2013 11:43 am

Autoscacco a 5 Stelle
di Marco Travaglio | 30 marzo 2013

Fino a ieri mattina, checché se ne dicesse, il movimento 5 Stelle non aveva sbagliato una mossa. A parte le trascurabili defezioni sulla presidenza del Senato, aveva mantenuto compatti i suoi variopinti ed eterogenei gruppi parlamentari, sfuggendo a tutte le trappole che i partiti e i giornalisti al seguito avevano seminato sul suo cammino. Aveva messo all’angolo il Pdl con l’annuncio del sì all’ineleggibilità e a un’eventuale richiesta d’arresto di B. (spingendo il Pd ad allinearsi). Aveva costretto il Pd a rottamare i candidati di partito per le due Camere e a inventarsi in fretta e furia i nuovi arrivati Boldrini e Grasso, a loro volta obbligati a esordire col taglio degli emolumenti che, per quanto modesto, avrebbe innescato l’effetto valanga. Infine aveva cucinato a fuoco lento Bersani, fino alla figuraccia in diretta streaming e alla resa sul Colle camuffata da congelamento.
Intanto i dogmi pidini dei rimborsi elettorali e del Tav Torino-Lione venivano rimessi in discussione. Insomma, pur avendo vinto solo moralmente le elezioni, 5Stelle era diventato in pochi giorni il dominus della politica italiana. Se Grillo avesse chiesto a Bersani le chiavi di casa e della macchina, quello gliele avrebbe consegnate senza fiatare e con tante scuse per il ritardo. Insomma, da oggi un movimento nato appena tre anni fa avrebbe avuto l’ultima parola sul nuovo governo e sul nuovo presidente della Repubblica. Con notevoli benefici per gli italiani, visto che alcuni punti del programma pentastelluto, al netto delle follie e delle utopie, sono buoni e giusti e realizzabili in poco tempo. E visto che B. sarebbe rimasto irrimediabilmente all’angolo.
Sarebbe bastato che ieri i capigruppo fossero saliti al Quirinale con una proposta chiara e netta: un paio di nomi autorevoli per un governo politico guidato e composto da personalità estranee ai partiti (parrà strano, ma ne esistono parecchie, anche fuori dalla Bocconi, dalle gran logge, dai caveau delle banche e dalle sagrestie vaticane). Siccome Bersani, anche in versione findus, era rimasto fermo all’asse con M5S, secondo la volontà dei due terzi degli elettori, i grilli avrebbero dovuto sfidarlo ad appoggiare quel tipo governo. Che naturalmente non può essere né a guida Bersani, né tantomeno a guida M5S. Di qui la necessità di una rosa di personalità che potessero incarnare, per la loro storia e le loro idee, alcuni dei punti chiave del movimento. Sarebbe stato lo scacco matto al re. Invece lo scacco i grilli se lo son dato da soli. Col rischio di perdere un treno che potrebbe non ripassare più; di accreditare le peggiori leggende nere sul loro conto; e di gettare le basi per drammatiche spaccature.
Ieri infatti al Colle non hanno fatto nomi, ma solo allusioni, anche perché Napolitano non vuole sentir parlare di nomi extra-partiti. Poi hanno chiesto ciò che non potevano avere: l’incarico. Ha prevalso l’inesperienza, o la supponenza, o la paura di essere incastrati in giochi più grandi e inafferrabili. Paura infondata, visto che i partiti sono alla canna del gas e non sono più in grado di incastrare nessuno, se non se stessi. E in ogni caso la mossa era a rischio zero e a vantaggio mille (per loro e per il Paese). É vero, come sospettavano i complottisti (che spesso ci azzeccano) che Napolitano e parte del Pd sono già d’accordo col Pdl per l’inciucio: ma, a maggior ragione, la proposta di un governo Settis o Zagrebelsky li avrebbe messi tutti con le spalle al muro. E li avrebbe costretti alla ritirata, non foss’altro che per non assumersi la responsabilità di aver bocciato il miglior governo degli ultimi 15 anni (almeno sulla carta). Ora invece l’unica alternativa alle urne, che tutti invocano ma tutti temono, sarà un inciucissimo con B., più o meno mascherato. Che magari era nella testa di Napolitano e dei partiti fin dal primo giorno. Ma che ora ricadrà sulla testa dei 5 Stelle. E naturalmente degli italiani. Bel risultato, complimenti a tutti.
il Fatto Quotidiano, 30 Marzo 2013
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Messaggio Da Laurel-EF Lun Apr 22, 2013 5:15 pm

Levnicolaievic ha scritto:
"Questa volta è finita davvero"(da Repubblica , 6 gennaio 2012)
Così la musica è cambiata di GINO CASTALDO
....Certamente più della musica, che di questi tempi sta vivendo un lungo e irritante letargo di coscienza.

Scusate se riesumo questo vecchio articolo, ma sto scoprendo i topic un pò per volta e questo forum è davvero una miniera d'oro, molto molto stimolante questo articolo di Castaldo, mi suscita mille pensieri grazie mille Lev!
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Messaggio Da Ospite Mer Giu 05, 2013 3:38 pm

http://www.davidemaggio.it/archives/76525/pippo-baudo-tuona-contro-musica-e-tv-quando-vedo-chiara-negli-spot-provo-una-gran-pena

PIPPO BAUDO TUONA CONTRO MUSICA E TV: QUANDO VEDO CHIARA NEGLI SPOT PROVO UNA GRAN PENA

mercoledì 5 giugno 2013 11:54 Fabio Fabbretti

Puntava al 10% di share, altrimenti la Rai avrebbe potuto sospenderlo senza alcuna penale. Il Viaggio di Pippo Baudo in prima serata su Rai 3, però, si fermò al 5.5% dopo appena quattro puntate trasmesse. Ora il Pippo Nazionale ci riprova e, da lunedì 17 giugno, torna a girare per l’Italia con la seconda edizione del programma on the road, annunciando il “vero” obiettivo d’ascolto:

“[...] questa clausola esiste nel mio contratto, ma non parla del 10 per cento – ha dichiarato il conduttore a Vero Tv – La Rai è autorizzata a rescindere l’accordo con me sospendendo Il Viaggio, se il programma non raggiunge almeno il 7,5 per cento di share entro la dodicesima puntata. Vi dirò di più: questa condizione non valeva per il lancio dello scorso anno, ma entra in vigore adesso”.

Risolta, dunque, la questione share, Pippo Baudo torna inevitabilmente a parlare del Festival di Sanremo, che per anni l’ha visto padrone indiscusso dell’Ariston. Le edizioni di successo sotto la gestione Morandi e Fazio, però, hanno secondo lui portato alla luce il vero problema della kermesse di oggi, che non è il presentatore ma la musica. E qui “gioca” un affondo fin troppo duro nei confronti di Chiara Galiazzo e non solo:


“Non ci sono più canzoni di successo: i brani si dimenticano dopo appena quindici giorni. A mio avviso, i cantautori come Claudio Baglioni o Antonello Venditti hanno rivoluzionato la musica quarant’anni fa, ma poi l’hanno anche rovinata. Oggi cantano sempre gli stessi pezzi [...] Quando vedo la vincitrice dell’ultima edizione di X Factor, Chiara Galiazzo, recitare negli spot dei cellulari provo una gran pena. Chi vuol fare il cantante non può finire a fare la comparsa nelle pubblicità”.

Infine non può mancare un appunto (chiamiamolo così) sulla televisione di oggi:

“Meno talent show e meno cucina: tanto per cominciare una bella ‘dieta’ in tv non sarebbe male [...] Credo che la Rai dovrebbe essere orgogliosa de Il Viaggio: tra tanti programma leggeri, con scarso peso culturale, ci siamo ancora noi a badare alla qualità, realizzando un prodotto di spessore”.

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Messaggio Da Laurel-EF Sab Ott 12, 2013 12:16 pm

Una bella riflessione

Mysterious Ways (l’identità delle star nell’era dei social network)
di Stefano Gilardino
Giornalista

Forse non è una notizia da prima pagina o una dichiarazione così forte da scatenare un dibattito, ma l’intervista rilasciata a NME qualche giorno fa dai due MGMT regala quantomeno uno spunto per scrivere qualche riga e fare una riflessione. «La gente si aspetta che gli artisti condividano ogni minimo aspetto della propria vita privata ed è per questo motivo che non pensiamo che ci possa essere in futuro un nuovo David Bowie. Lui, per esempio, è stato capace di creare un mito attorno al suo personaggio più celebre, Ziggy Stardust, ammantandolo di mistero e rendendolo più interessante. Nessuno saprà mai con certezza quanto ci fosse di Bowie in Ziggy e quanto fosse solo recitazione. Nonostante tutto, noi come MGMT siamo soddisfatti di ciò che facciamo, in fondo la gente non ci conosce così bene, restano parecchie zone d’ombra nella nostra carriera».

Prima che pensiate che io parlo sempre di David Bowie (non ci sarebbe nulla di male, a ben vedere), il suo è solo un punto di riferimento per spiegare con chiarezza come, in questi anni di social network esasperato, dominati da una Rete che fagocita e banalizza tutto, il mito della rockstar misteriosa sia definitivamente tramontato o quasi. Come facevano notare anche Ben Goldwasser e Andrew VanWyngarde, gli MGMT appunto, i veri oggetti del mistero odierni sono i francesi Daft Punk, mascherati come i robot di un film di fantascienza di serie B e attenti fino alla maniacalità a qualunque aspetto della loro immagine pubblica e, a maggior ragione, privata. E con tutta la buona volontà e l’affetto per il duo di Get Lucky, il paragone con un passato ricco di Led Zeppelin, David Bowie, Iggy Pop, Stones e Pink Floyd non regge un granché…

La domanda è semplice, dunque: regalare un accesso completo alla propria vita rende meno interessante la figura della popstar oppure ne aumenta l’appeal? Probabilmente, come spesso succede, è una questione generazionale. Se chiedete a un quindicenne di oggi, abituato a essere collegato a internet 24 ore su 24, vi risponderà che la forza dei suoi nuovi idoli – Fabri Fibra o One Direction, non importa – sta in quel (falso) senso di totale disponibilità che regalano Facebook, Twitter o qualunque altro social. Conoscere, in qualunque momento, cosa stia facendo Justin Timberlake, al di là del fatto che ci freghi o meno di saperlo, crea comunque un legame più stretto con l’artista e regala un’informazione da condividere con altri fan. Non parliamo poi della lenta agonia che accompagna l’uscita di un disco atteso o l’annuncio di un tour, giocata su un crescendo spasmodico di informazioni che giunge al culmine nel giorno della pubblicazione della notizia. Non è roba per noi “vecchi”, viene da pensare, se non fosse che, per esempio, pur non avendo mai visto mezzo video di Miley Cyrus, posso dire di conoscere perfettamente i dettagli del piccolo scandalo creato ad arte per rendere più vendibile il suo personaggio.

La stessa domanda di cui sopra, rivolta a chi ha vissuto la musica pop negli anni d’oro, sortirà l’effetto opposto, persino in chi, malato di beatlemania (o di mania per qualunque artista pop e rock), era solito collezionare persino il più insignificante dettaglio dei propri beniamini. Gli spazi vuoti nell’informazione, dunque, erano riempiti da commenti e interpretazioni personali, e ognuno finiva per immaginarsi quello che voleva, persino che i Kraftwerk fossero solo dei manichini comandati da musicisti umani, come pensavo io da bambino, dopo averli visti a Sanremo. Quello che contava, in fondo, era la musica, no? Ecco, a pensarci bene, in tutto l’articolo non abbiamo mai parlato neppure una volta di ciò che invece dovrebbe sempre restare al centro della nostra attenzione. Stai a vedere che adesso a nessuno frega niente della canzoni di Miley Cyrus o di Moreno.
http://www.onstageweb.com/blog/identita-pop-star-social-network/
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Messaggio Da Levnicolaievic Mer Ott 08, 2014 3:32 pm

posto una riflessione un po' lunga ma secondo me molto ben argomentata sul fenomeno delle " Sentinelle in piedi " che merita attenzione. Blog di Freddy Nietzsche ( Matteo Bordone )
"L’altro giorno in diverse piazze italiane un gruppo di militanti cattolici conservatori ha manifestato contro l’allargamento della famiglia e del ruolo genitoriale che in molti paesi del mondo più civilizzato sta avvenendo in questi anni. Le cosiddette “Sentinelle in Piedi” si sono messe ferme e zitte con un libro in mano in piazza, dimostrando con il corpo e la presenza silenziosa qual era la loro opinione. La pratica nasce in Francia l’anno scorso durante la discussione della legge sui matrimoni tra persone omosessuali; lì si chiamano veilleurs. L’area politica è quella della destra confessionale, e in Italia la manifestazione è stata infatti vista con rispetto o addirittura trasporto dall’area di CL e della fu Margherita, oltre ai soliti Forza Nuova, Militia Christi o equipollenti. Il fatto che pochi anni fa un gruppo di tradizionalisti cattolici facesse parte del PD è una cosa di cui dovremo chiedere conto a Francesco Rutelli e Walter Veltroni. Per la cronaca, l’uomo che li ha emarginati nel partito si chiama Pier Luigi Bersani.

Dal punto di vista estetico, è un modo di manifestare di grande impatto: è pacato, scenografico, silenzioso, non ferma il traffico; i libri in mano, che servono a passare il tempo, danno un tono colto e rispettoso alla protesta, per via di uno stereotipo culturale imbecille per cui qualsiasi libro è segno di profondità e riflessione, fosse anche un manuale sulla potatura del glicine. C’è poi quel punto stupendo di ipocrisia per cui quello di cui si discute non è evidente a chi passi nella piazza: questi sono zitti in piedi e leggono, chissà cosa li spinge? (“Forse che esistono degli spingitori di cristiani di destra in piedi? Come fanno con le vene varicose?” cit. Vulvia) In realtà nei luoghi in cui l’organizzazione era più scasciata qualcuno è riuscito a parlarci, e tutta la compostezza della scena è stata sostituita da una sequela di cretinate da trogloditi espresse in un italiano discutibile. Finché stanno in piedi col libro invece è tutto sospeso nel dubbio educato di una profondità tutta da scoprire. Non c’è, ma questo non conta. È un po’ come quando si pensava che oltre Gibilterra a un certo punto finisse il mondo: finché non ci vai, puoi immaginarti di tutto, anche un bordo gigantesco con le barche che cadono giù.

Durante la giornata delle sentinelle, il record della cretinata va come al solito ai “centri sociali” bolognesi, cioè a quelli che una cosa sanno fare: andare in piazza, fare un po’ di guardia e ladri con le forze dell’ordine, e poi tendenzialmente urlare delle cose in faccia alla gente e dare dei pattoni a quelli che non la pensano come loro. Per qualsiasi contesto, loro quello fanno. Nuovo governo, autunno caldo, sentinelle in piedi: i centri sociali vanno in piazza, momento di confronto con le forze dell’ordine, urla e due pattoni. Pare che lo facciano anche per occhi di pernice, siccità incessante e se la diarrea persiste oltre le 48 ore. In questo caso, usando la violenza fisica contro degli aggressivi passivi, è sembrato che li avessero legittimati. E invece no. Cioè, se mentre spiegavano i sillogismi eri andato a fare la pipì, forse; se sei un organismo senziente, no.

1) A dice cose inaccettabili — B mena A — B è violento.

2) A dice cose inaccettabili — B mena A — A dice cose osteggiate dai cattivi e condivisibili.

Capite che l’esempio 2 non ha molto senso, per quanto una mente semplice possa cascarci. Sarebbe divertente estendere questo effetto speciale alla comunicazione tutta. Alfano tiene un comizio e parla di cos’è lo Stato. Il pubblico si guarda un po’ smarrito. Sale sul palco un dipendente di Alfano che gli dà due sganassoni gridando «MA CHE CAZZO DICE, MINISTRO?!», e il pubblico guardandosi pensa «Be’, non ha tutti i torti questo Alfano!». [Immaginare scene con qualsiasi politico e oratore]

Premio speciale della critica va al bergamasco Giampietro Belotti, che ha mescolato The Blues Brothers e Il grande dittatore e si è messo a leggere Mein Kampf vestito da camicia bruna, da dittatore chapliniano e da nazista dell’Illinois al tempo stesso. La digos, racconta lo stesso Belotti intervistato, lo porta in questura per accertamenti, e sulla volante parte una disquisizione sui film citati con i poliziotti. Tutto molto bello.

Il punto è che in tutti i paesi d’Europa tranne Italia e Polonia, e in molti altri nel mondo, esistono alternative al matrimonio tradizionale. Le linee in genere sono due: o si affianca al matrimonio un altro istituto più leggero cui accedono sia etero che omo, oppure si allarga l’istituto esistente e si permette anche ai gay di sposarsi. Il alcuni casi esistono sia la prima che la seconda opzione. In Italia non c’è ancora niente di tutto questo. Si stava arrivando alle unioni civili, ma per ora ci sono solo le registrazioni dei matrimoni fatti all’estero, e vengono trascritte da alcuni sindaci contro il parere del Ministro dell’Interno.

In questo contesto – il contesto è tutto nella vita – le Sentinelle manifestano per difendere quello che nessuno si è permesso nemmeno di sfiorare. Lo fanno con la gravità dei corpi e del silenzio, e quella che potrebbe passare per discrezione è un rifiuto della dialettica. Le Sentinelle non parlano, non dicono: le Sentinelle sanciscono. È così e basta. Non vanno in televisione, non partecipano a tavole rotonde, non sono sui giornali, non hanno uffici stampa o referenti politici. Citando Orwell a sproposito, le Sentinelle In Piedi dicono di difendere la libertà di espressione e la famiglia tradizionale, così come il diritto dei figli ad avere un padre e una madre. È molto interessante l’accoppiata dei temi, e sarebbe bello un insegnamento universitario fatto così. «Cosa studi?» «Domani ho un esame, cazzo.» «Cos’è?» «Famiglia tradizionale e libertà di espressione: il prof è un libertario oscurantista, non so proprio come prenderlo.»

Ma il punto è che senza dialogo, senza confrontarsi, le sentinelle manifestano con il loro corpo, cioè il meno negoziabile degli argomenti, la loro difesa dello stato delle cose. Nessuno si sposa, in alcuni milioni vorrebbero farlo, in parecchie decine di migliaia vorrebbero adottare e non possono, e loro in silenzio sanciscono che le cose come stanno adesso stanno bene, e non c’è niente da cambiare, niente di cui parlare.

Dalla loro hanno una gerla di ricatti morali ed estetici che funzionano molto bene. Chi si unisce alla sentinelle prova il brivido del gruppo, l’estesi dell’esibizione pubblica, il gasamento del fare parte di qualcosa di così coreografico, il senso della vittima inascoltata, l’ascetismo del silenzio, e poi legge Orwell per la prima volta che non è niente male. Il tutto da vincitore, ma travestito da povera vittima in veglia davanti a un sopruso.

Prendere le istanze della maggioranza e dello status quo, e trasformarle in diritti minoritari che vanno difesi in nome di principi altissimi è un meccanismo tipico del fascismo. Non il fascismo delle origini che aveva tutto uno spirito rivoluzionario, per quanto violento e assassino da subito, ma quello appena successivo al potere. La destra tende anche oggi a questi ribaltamenti. Quando Daniela Santanché, milionaria con interi arcobaleni di borse di Hermès, dice che lei è una donna del popolo, non come quei radical chic di sinistra, tra facendo esattamente la stessa cosa: essere imperatore e fingersi Spartaco.

Qualcuno dice che dovremmo permettere alle Sentinelle di esprimere così rispettosamente la loro opinione. Massimo Bernanardini su twitter ha citato Voltaire. Ci terrei a fare presente che le sentinelle hanno manifestato la seguente opinione: che una fetta enorme della popolazione che da anni vorrebbe le fossero attribuiti più diritti sta minando i valori della società civile e minacciando i diritti dei bambini. Queste sono opinioni molto gravi per contesto e sostanza. Poi le posso esprimere sorseggiando tè al bergamotto e pasteggiando a scones deliziosi, ma se dico qualcosa di così omofobo e reazionario c’è della violenza implicita in quello che dico. Perché entro nella vita di altre persone che evidentemente trovo inadatte a godere di diritti e condizioni proprie degli altri cittadini, fra cui ovviamente me stesso, sentinella in piedi che leggo Orwell, e lo faccio fuori da un contesto dialettico di qualsiasi tipo.

Sul diritto di dire che gli ebrei fanno schifo e devono essere bruciati come ha fatto quello statista di Adolf Hitler – scusate la reductio ad Hitlerum, ma qui è a proposito – credo che si possa discutere, no? Negli Stati Uniti la costituzione sancisce questo diritto assoluto; in Europa non si può dire quello che ho scritto qui sopra e che evito di ripetere, e per delle ragioni circostanziate. Voltaire scrive prima che il Novecento inventi l’individuo, la psiche, due guerre mondiali, diversi genocidi: oggi siamo sempre ben oltre Voltaire, e i diritti cui lui faceva riferimento sono garantiti a tutti, comprese le Sentinelle In Piedi che – ricordiamolo, per favore – hanno manifestato anche in piazza San Pietro, oltre che in centinaia di altre piazze italiane. Quindi Voltaire è sereno nella sua bella tomba, sorridente e soddisfatto al Pantheon, in un paese dove gay e lesbiche si sposano dal 17 maggio del 2013. Le Sentinelle lì sono una minoranza conservatrice le cui istanze sono state superate dalla maggioranza e dalla legge: restano dei retrogradi dogmatici, ma parlano per sé. In Italia le Sentinelle portano un lutto immaginario, vegliano le fantasie ignoranti delle loro teste vuote, perché nessuno vuole minacciare i loro diritti, e sono solo loro che si battono perché le persone che secondo lo stato italiano valgono meno di loro continuino ad essere considerate così: dei cittadini cadetti. Quindi che un manipolo di conservatori dogmatici sventolino la libertà di espressione mentre esprimono la loro opinione oscurantista mi pare un trucchetto astuto. Che lo stesso trucchetto sia abbracciato con entusiasmo da giornalisti o intellettuali di qualsiasi risma è poco gentile nei confronti di chi come me e molti altri non si beve certe fandonie.

Le democrazia non prevede che ognuno possa affiggere una targa con il proprio parere in piazza: la democrazia prevede che ognuno possa esprimere la propria opinione in piazza, in maniera chiara e comprensibile, perché poi se ne parli. Alcune opinioni sono rispettabili, come chi le esprime, e altre non lo sono. Mi sento di dire che per un bel pezzo di questo paese le opinioni delle Sentinelle non sono per niente rispettabili, e verranno osteggiate con forza, a voce alta. Per quel che vale, le Sentinelle possono anche sedersi.

scritto da Matteo Bordone mercoledì.08.10.14 @ 10:19 | 0 Comment
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